Il mese appena trascorso Facebook ha compiuto 20 anni. La ricorrenza, nelle scorse settimane, è stata spesso occasione di dibattito in termini di fake news, di troll, di hater, di bolle, di dibattiti polarizzati e di tutto ciò rende difficile la vita in rete. Per affrontare queste tematiche consiglio la lettura di L’Antidoto di Vera Gheno, uscito l’anno scorso per Longanesi. In queste poche righe è invece opportuno parlare del nesso esistente tra una piattaforma come questa, che ci permette di fare largo uso della scrittura, e la lingua sarda. Intanto partiamo dal presupposto che Facebook nasce in un momento di forte dibattito linguistico. Tre anni prima la Regione sarda emanava sa Limba sarda unificada, un primo tentativo di proporre uno standard per il sardo. Questo codice non durò tantissimo, al punto che nel 2006, con Facebook che allora aveva spento già due candeline, la Lsu venne superata dalla Limba sarda comuna. Anche in questo caso il dibattito non è stato sempre sereno. Quanto emergeva nei social lo dimostrava: i like sulla fiducia, le amicizie rimosse, gli utenti bannati etc. Ma la cosa balzata agli occhi è che Facebook ha favorito l’utilizzo della nostra lingua nei post, nei commenti, nella messaggistica. In tanti, complice l’utilizzo di una tastiera di computer, hanno potuto riversare su una bacheca, su una pagina o su un gruppo, pensieri compiuti utilizzando il nostro codice per eccellenza. Molti hanno preso l’abitudine di scrivere al punto di fare di questa azione un perfezionamento ortografico e un potenziamento linguistico. Sono nate delle relazioni positive tra gli utenti: i consigli dati dai più pazienti, ad esempio, hanno bilanciato le tirate d’orecchio dei grammarnazi. Sono nati gruppi in prosa, in rima e anche di traduzione (per avere di Facebook anche l’interfaccia in sardo). A conferma di tutto ciò, nel 2017 furono pubblicati i risultati del progetto Digital language diversity, sponsorizzato dall'Unione Europea nell'ambito del programma Erasmus+. Si trattava di «un'indagine sulle aspettative e i desideri dei parlanti di quattro lingue minoritarie d’Europa (Basco, Bretone, Sardo e Kareliano) in merito allo sviluppo digitale della loro lingua». Da questa ricerca, coordinata da Claudia Soria dell'Istituto di linguistica computazionale del Cnr di Pisa, emerse che: - «i parlanti delle lingue minoritarie hanno un forte desiderio di usare la loro lingua digitalmente, a tutti i livelli e per tutti gli scopi, sia nella comunicazione con le istituzioni che nelle attività ludiche»; - «i social media hanno un potenziale enorme come strumento per guidare la revitalizzazione linguistica». Certo emerse anche qualche problematica relativa alla «mancanza di azioni coordinate», alla necessità della «figura dell’attivista digitale», alle debolezze della «sola buona volontà degli attivisti» in assenza di «supporto strutturale da parte delle istituzioni». Insomma, questo social network qualcosa di buono l’ha fatta per la nostra lingua, forse anche inconsapevolmente. Siamo noi che dobbiamo fare sa parte manna, facendo buon uso dei social e partendo dalle criticità emerse nella ricerca citata. Anche cercando di capire che le “azioni coordinate” e il “supporto strutturale delle istituzioni” altro non sono che parti della più generale politica linguistica. Che oggi, purtroppo, vacilla.